Qual’è il tuo scopo nella vita? Molte volte te lo sarai chiesto o forse chissà in quanti ti avranno rivolto questa domanda?
Domanda facile, eh sì … ho scelto proprio una domanda facile. E probabilmente ti starai chiedendo se almeno io sono riuscito a formulare una risposta per me stesso?
Preferisco vedere la cosa sotto un altro punto di vista e non concentrarmi unicamente sul concetto stesso di “scopo della vita”. Credo sia più opportuno dare maggior peso al fatto che la nostra esistenza ci porta a trascorrere del tempo su questo pianeta ma nessuno è in grado di dire quanto lunga sarà la nostra permanenza. L’indeterminatezza, fuori dal nostro controllo, non ci deve però distrarre da quanto è nelle nostre facoltà, ovvero quello di interrogarci sul come investire il tempo a nostra disposizione. Qui possiamo intervenire personalmente e decidere se fare cose importanti o meno importanti per noi stessi. Quelle importanti hanno valore e conferiscono significato alla nostra esistenza, mentre le altre non fanno che fagocitare tempo prezioso.
Preferisco quindi partire da questo punto e focalizzarmi su come valga veramente la pena spendere il proprio tempo, che per quanto incerto ed indeterminato sia, è pur sempre limitato. Ognuno di noi ha le proprie inclinazioni, ha i propri poli di attrazione e trae maggior soddisfazione impegnandosi in determinate attività piuttosto che in altre. Non esiste una ricetta magica che fornisca la soluzione universale. La ricerca è personale e si basa sulla consapevolezza che il nostro scopo nella vita è un percorso in continua evoluzione, che ci permette di vivere coerentemente con la nostra autenticità e le nostre potenzialità attraverso la massima espressione dei talenti personali. Ciascuno deve capire cosa veramente è in grado di essere considerato importante per sé e che possa aggiungere significato profondo alla sua vita. L’idea è ben lontana dal voler strappare col petto una fettuccia tesa sulla linea di un traguardo immaginario collocato in là nello spazio e nel tempo, ma si identifica più in un movimento continuo, un impegno ed una crescita costante che si sviluppa lungo tutto il corso della nostra esistenza.
IL SACRIFICIO E’ NECESSARIO
Nulla è gratis a questo mondo, tutto ha un costo. Tutto nella vita contempla il sacrificio e si cresce impegnandosi. E’ nella lotta e nel sacrificio per la conquista di quello che conta veramente per noi che sta il grande valore della nostra vita. Ma è in base a quanto sappiamo tollerare i momenti difficili, a quanta tenacia e costanza mettiamo nel resistere allo sconforto e alle sconfitte che riusciamo a determinare quanto veramente una cosa sia importante per noi.
Non sono un sostenitore a spada tratta dello stoicismo e non incito nessuno, tanto meno me stesso, ad una esistenza votata al sacrificio perenne. Credo invece che sia importante dare valore al nostro impegno e ai nostri sacrifici senza dei quali non sarebbe possibile ottenere ciò che desideriamo. Bisogna trovare la forza e l’energia per essere in grado di gestire piccoli o grandi fallimenti, di accettare errori e traguardi mancati o di vivere rinunce e sacrifici in nome di quello a cui teniamo. Il sacrificio in nome della conquista delle competenze, del proprio vantaggio competitivo diventa la base per la nostra crescita. Senza impegno e abnegazione non c’è evoluzione. Lo sforzo è commisurato con il proprio progetto di vita e ognuno di noi sa quanto può dare e può effettivamente spendere per realizzarlo. Fare il massimo possibile per realizzarlo è la benzina che alimenta il motore dell’azione, dell’ispirazione e della motivazione.
SEGUIRE LE PASSIONI RICHIEDE CORAGGIO
Tutti abbiamo qualcosa che ci fa battere intensamente il cuore, che rapisce la nostra mente e che ci affascina più di qualunque altra cosa. Per questo le chiamiamo passioni. Non parlo di attrazione per l’altro sesso, innamoramento o coinvolgimenti sentimentali di altro genere. Mi riferisco a quelle attività in cui ci cimentiamo con successo e con estremo piacere e che riescono spesso a tenerci svegli fino a notte fonda immergendoci in uno stato di trasporto e coinvolgimento tale da farci perdere la cognizione dello spazio e del tempo … da proiettarci in uno “Stato di Flow”!
Passioni che spesso hanno caratterizzato la nostra infanzia e che potevano essere alimentate con maggiore continuità da una condizione non ancora legata a questioni di “ricompensa”. Sì perché crescendo veniamo educati secondo il principio che l’unica ragione per continuare a fare qualcosa è esserne In qualche modo ricompensati, remunerati. Vigorose ed insistenti sollecitazioni di tipo sociale in età adolescenziale e più tardi inevitabili e costanti condizionamenti professionali in età adulta ci portano progressivamente ad allontanarci e ad abbandonare ciò che prediligevamo da piccoli.
Questa intensa interazione con il mondo esterno estingue in breve ogni nostra speranza di poter coltivare il fuoco che è in noi. Ci convinciamo che in fin dei conti per vivere dobbiamo seguire ciò che ci viene proposto dagli altri come più conveniente e più redditizio per poi magari accorgerci in un futuro non troppo lontano che abbiamo agito più per accondiscendenza che per convinzione. Seguiamo con inspiegabile certezza i consigli del “fallo per il tuo bene”, le indicazioni del “fallo perché ne va del tuo futuro professionale”, il principio del “vantaggio” quando invece non siamo in grado di riconoscere e di proteggere il nostro bene. Le passioni sono viste come un gioco, come un divertimento, ma per vivere bisogna crescere e smettere di giocare! Mantenere fede alle proprie passioni con uno spirito di divertimento e di gioco presuppone assunzione di responsabilità, di fiducia in se stessi e di estremo coraggio.
“Non importa chi sei, non importa quello che hai fatto, non importa da dove sei venuto, si può sempre cambiare, diventare una versione migliore di te stesso.”
– Madonna

METTERCI LA FACCIA, ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA’ E SUPERARE L’IMBARAZZO .
Per realizzare qualcosa ti devi mettere in gioco. Mettersi in gioco significa metterci la faccia, assumersi la responsabilità di quello che si sta facendo e prendersi carico di eventuali rischi correlati. Quando si inizia un percorso spesso non si ha nemmeno bene l’idea di ciò che si stia facendo veramente. Serve fare un po’ di esperienza e l’esperienza, per sua natura, non è teorica ma pratica. Fare, agire … sbagliare induce anche ad esporsi in situazioni imbarazzanti. La stessa mancata aderenza del realizzato con l’ipotizzato (o prospettato) crea primo vero imbarazzo in noi stessi, ma è necessario per sviluppare autoapprendimento. Gli errori e le imperfezioni ci insegnano cosa funziona e cosa non funziona.
Ciò che spaventa principalmente però è il giudizio degli altri, quello che gli altri potrebbero pensare di noi. Per quanto forte possa essere il desiderio di realizzare qualcosa di importante, esso vive sempre sotto la pressione della paura delle sentenze altrui.
Se le ragioni che ci inducono a non intraprendere un percorso sono legate all’ansia di non soddisfare le aspettative di parenti, amici, conoscenti o del vicino della porta accanto, allora probabilmente ci lasceremo vincere ancor prima di abbozzare un timido tentativo. Alimentare il desiderio, difendere i propri valori e salvaguardare le proprie convinzioni per realizzare qualcosa di importante implica dover andare contro corrente e sconfiggere in primis le nostre credenze limitanti. Queste, per quanto negative, in un certo qual modo ci rassicurano e finiscono per costituire una parte del recinto della nostra zona di comfort: ci limitano fortemente nell’azione e nell’esplorazione dell’ignoto, che indubbiamente fa paura più agli altri che a noi stessi.
Il VALORE DELLA CONDIVISIONE
Al giorno d’oggi viviamo costantemente connessi e condividere in rete ormai fa parte della nostra quotidianità. Condividiamo contenuti, esperienze, informazioni, idee e in questo mondo virtuale basta accettare una richiesta giunta sul nostro profilo social per allargare la cerchia delle nostre “amicizie”.
Internet oggi è senza dubbio una vetrina sul mondo che offre potenzialità di visibilità sconfinate e che ci permette di amplificare la nostra volontà di condividere con gli altri quanto vogliamo esprimere. In questa dimensione virtuale se da un lato si esalta la “modalità” della condivisione dall’altro spesso se ne perdere il vero “significato” sconfinando nell’esibizionismo e nella mera ostentazione. Condividere significa dividere insieme agli altri e in sé la parola esprime ed esalta il concetto del contributo reciproco.
Nella scena finale del film “Into the wild” il protagonista Christopher “Alexander Supertramp” giunge stremato ed agonizzante alla fine del suo viaggio solitario lontano dagli affetti e dalla società e in punto di morte scrive sulla copia del Dottor Zivago “La felicità è autentica solo se condivisa”. Un epilogo che sembra quasi essere in contraddizione con il resto del film, ma che rivela il significato di questo tentativo fallimentare di rinuncia alla nostra natura. L’uomo, come sosteneva Kant in accordo con Aristotele, non è solo “un animale sociale” incline per sua natura alla socievolezza e alla relazione con gli altri, ma riesce a dare consistenza a tutto ciò che fa e che realizza attraverso la relazione con gli altri. La condivisione è mezzo e fine allo stesso tempo.
Essere in grado di esprimere se stessi al massimo delle proprie potenzialità e trarre da questo enorme soddisfazione è un doppio vantaggio: è un vantaggio per se stessi ed è un vantaggio per la società. Al mondo non servono persone frustrate e insoddisfatte poiché come tali sono un problema per la nostra società: non lavorano volentieri, non performano come dovrebbero, non si relazionano positivamente con gli altri creando disagi e criticità nei rapporti interpersonali. Di contro, avere individui soddisfatti e felici in grado di esprimersi autenticamente si traduce in un valore aggiunto per tutti, sia in termini di efficienza e sia in termini di relazioni umane. Contribuire al massimo delle nostre potenzialità e con eccellenza fa la differenza.
Condividere potrebbe essere un rischio ma se non si condivide si perde sempre e comunque.
“Quando qualcuno condivide, tutti vincono” Jim Rohn
PENSARE ALLA PROPRIA MORTE AUMENTA LA CONSAPEVOLEZZA SUL VALORE DELLA NOSTRA ESISTENZA
Morte, un termine che terrorizza. Si ha timore persino di pronunciarlo. Rivolgere il pensiero al termine della propria esistenza non piace a nessuno. Per scaramanzia, per tabù o per consapevolezza lo si tiene lontano da ogni conversazione e dalla nostra mente. Pensare alla “fine” è una prerogativa dell’essere umano. Gli animali percepiscono e fuggono il pericolo, sentono la fame, sono guidati dall’istinto di sopravvivenza … sono in vita e “reagiscono” inconsapevolmente alla morte. Solo noi umani abbiamo facoltà di concettualizzare la morte, di astrarre il pensiero e di proiettarci nel futuro avendo coscienza che un giorno, prima o poi, la nostra vita cesserà. Spesso però ci comportiamo come se fossimo immuni alla mortalità, quasi fossimo in un rapporto asintotico con la morte proiettati nel tempo alla stregua di invincibili Highlander.
Eppure pensare alla morte ha molti vantaggi pratici e su questo fatto probabilmente dovrebbe essere posta maggiore attenzione. Ma come detto, nell’immaginario collettivo è un tema “scabroso” e lo si evita a priori censurandolo categoricamente. Considerare la nostra fine ci costringe a focalizzare la nostra attenzione su ciò che è veramente importante nella nostra vita, ci rende evidente il valore delle cose e permette di distinguere ciò che è futile e vano per ognuno di noi. Consapevolizzare la nostra transitorietà e sapere che siamo nel vivo del countdown porta inevitabilmente a prendere coscienza del valore della nostra vita. Molti di coloro che per svariate circostanze sono sopravvissuti nonostante si siano trovati a guardare direttamente la morte in faccia, raccontano di aver dato a quell’esperienza un significato importantissimo che li ha condotti ad una revisione profonda della propria esistenza sulla base della rivalutazioni delle loro priorità e dei loro valori.
Pensare alla morte in maniera equilibrata significa capire se quello che siamo è quello che veramente vorremmo essere. Significa comprendere se quello che viviamo è il risultato di scelte che derivano dal nostro volere a non dal volere altrui. Se riusciamo a percepire effettivamente la nostra self-direction oppure se perdiamo costantemente il senso dell’orientamento perché la nostra bussola è in balia degli innumerevoli “campi magnetici” generati da chi ci circonda. Se ci troviamo realmente alla guida della nostra esistenza o se ci stiamo muovendo in una serie di eventi che sono il risultato dell’influenza di forti pressioni sociali e professionali. E quando ci troviamo in una situazione in cui non si hanno ben chiaro quali siano i nostri valori, allora inevitabilmente ci si trova ad assumere i valori e a vivere le volontà degli altri tralasciando le proprie.
Per trovare la nostra strada, il nostro “scopo”, dobbiamo riuscire a conquistare il tempo per pensare a noi e per orientare la nostra esistenza in una visione più ampia e universale, ovvero pensando oltre la nostra esistenza. Si tratta di agire e di trascorrere il tempo limitato a nostra disposizione allineati con noi stessi e dando un significato al nostro percorso terreno, individuando ciò che potremmo fare di concreto per gli altri e non ciò che gli altri si aspettano da noi.
Guardare al proprio contributo personale per migliorare ed arricchire l’esistenza altrui. Trovare in ogni difficoltà ed in ogni ostacolo un’opportunità da cogliere per esprimere noi stessi in maniera autentica e profonda. Forse non risulterà necessariamente l’elemento straordinario in grado di cambiare il mondo, ma fornire un contributo nel nostro piccolo può fare la differenza. Pensare più in grande di noi stessi ci permette di proiettarci verso un’immagine del mondo senza noi stessi.